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ANTICO TESTAMENTO

I 46 libri che compongono l’AT presentano una grande eterogeneità di forme e di contenuti. La loro composizione copre circa un millennio (praticamente l’intero millennio precedente l’era cristiana) e ha utilizzato tre lingue diverse: ebraico, aramaico e greco. All’origine di molti di essi dobbiamo supporre tradizioni trasmesse oralmente, spesso per lungo tempo e anche con notevole fedeltà. Questo non impedisce che diversi libri o parti di libro abbiano potuto sorgere, fin dall’origine, direttamente come testi scritti.

Origine e varietà degli scritti dell’Antico Testamento

I libri dell’AT adottano una grande varietà di generi letterari e, allo stesso tempo, rispecchiano fedelmente la vita quotidiana d’Israele.
La composizione e la trasmissione orale, che stanno all’origine di molti scritti veterotestamentari, rivelano uno strettissimo legame con la vita del popolo, che si svolge nella famiglia (spesso allargata a schiavi e schiave), nel clan (la più ampia cerchia dei consanguinei), nella tribù (raggruppamento di diversi clan) e nella comunità locale (la città). In questi ambienti sono nate molte forme espressive, originariamente orali, di cui sono restate tracce a livello letterario: canti d’amore (vedi il Cantico dei Cantici), lamenti funebri (2Sam 1,17-27; 1Re 13,30), canti di lavoro (Gdc 9,27; Is 9,2), canti conviviali (Is 22,13).
Dall’esperienza della vita quotidiana nascono i proverbi (Qo 9,4; Ger 23,28 ecc.), ma la sapienza popolare partorisce anche altre forme di detti, come enigmi e indovinelli (Gdc 14,12-18; 1Re 10,1), detti numerici (Pr 30,15-33) ecc.
L’importanza degli antenati e l’esigenza di mantenere vivo il loro ricordo e il legame con loro, per dare coesione alla famiglia, alla tribù, alla comunità, determina il sorgere di narrazioni, tramandate di generazione in generazione, sulle gesta di quei personaggi. Simili narrazioni sono all’origine dei cicli letterari sui patriarchi (Gen 12ss.). Altre narrazioni sono di carattere eziologico e tendono perciò a spiegare la causa di una realtà, di una prassi o di una istituzione. È importante notare che nelle narrazioni riguardanti personaggi illustri del passato, l’interesse non verte su una ricostruzione esatta degli eventi e neppure su quanto di specifico e di unico un evento presenti, ma su quanto esso contenga di costante, tipico e universale.
La vita di una comunità si regge anche sull’amministrazione della giustizia: la sfera del diritto è l’ambito dove sono nate e si sono affinate le procedure giudiziarie alla cui base stanno delle leggi, che si sono sviluppate parallelamente all’evoluzione culturale e sociale del popolo d’Israele (si pensi, ad esempio, al passaggio dallo stadio nomadico a quello sedentario e ai riflessi che tale mutamento ha avuto sul piano giuridico). Presenti in buona parte dell’AT, particolarmente nel Pentateuco, le leggi attestano ancora una volta il legame della letteratura biblica con la vita concreta del popolo.
Una comunità trova nella religione, e dunque nel culto, un momento fondante. Le vicende storiche e l’evoluzione sociale del popolo d’Israele hanno influito profondamente sul culto: il passaggio dal culto nomadico, praticato in luoghi che mutano, al culto che si svolge in “luoghi santi”, fissi, quando il popolo si è sedentarizzato; la progressiva concentrazione e centralizzazione dell’attività cultuale a Gerusalemme a discapito dei diversi santuari locali sparsi nel paese (Betel, Gàlgala, Sichem, Mamre: vedi Am 4,4); la crisi dell’esilio e la ripresa del culto nell’epoca post-esilica con la ricostruzione del tempio ma anche con i contraccolpi innovativi che tale crisi ha avuto sul culto stesso. Nei santuari locali si conservavano e trasmettevano (oralmente) racconti riguardanti le loro origini, si celebravano feste. Anche le grandi feste di Pasqua e delle Capanne ebbero un’origine pastorale-agricola ed erano legate ai cicli stagionali: Pasqua a primavera, Capanne in autunno. Al grande alveo dell’ambito cultuale devono farsi risalire i testi legislativi cultuali, le norme rituali e le regole per lo svolgimento dei sacrifici (ad esempio Lv 1-7), i calendari delle feste (Lv 23; Nm 28) e preghiere di vario tenore (si pensi ai Salmi e ai diversi generi letterari rappresentati nel Salterio).
Connessa al sorgere della monarchia davidico-salomonica è la nascita di un’attività letteraria di corte che redige annali, dove si raccolgono ed esaltano le gesta dei re. Si sviluppa così un’attività narrativa che racconta gli inizi e lo svolgersi delle vicende della storia monarchica: questi racconti storici costituiranno la base di partenza delle narrazioni racchiuse nei libri di 1-2 Samuele, 1-2 Re, 1-2 Cronache. Troviamo anche documentazioni di archivio, come liste relative alla suddivisione del territorio fra le diverse tribù (vedi Gs 13-19), liste di funzionari del re (vedi 2Sam 8,15-18) e altri materiali relativi all’attività amministrativa.
All’ambiente di corte (oltre che all’ambiente popolare) ci rinvia anche in parte la letteratura sapienziale: a corte infatti si insegnava la sapienza come arte del buon governo. Probabilmente sorsero vere e proprie scuole per trasmettere l’educazione a chi era destinato ad incarichi politici e amministrativi (vedi il libro dei Proverbi). La crisi dell’esilio fece sorgere però un tipo di sapienza “contestatrice” che, sempre a partire dalle osservazioni di esperienza, metteva in questione alcuni assunti tradizionali (vedi Giobbe e Qoèlet).
Un altro ambiente che ha prodotto molti testi biblici è quello profetico. La letteratura che da esso proviene è formata non soltanto da raccolte di parole e oracoli, posti sotto il nome di un particolare profeta (i cosiddetti “profeti scrittori”, di cui i più antichi sono, nell’ordine, Amos, Osea, Isaia e Michea, vissuti tutti nel sec. VIII), ma anche da narrazioni isolate (ad es. 1Re 22,1-28) o da veri e propri cicli narrativi, come il ciclo di Elia (1Re 17-19; 21; 2Re 1) e il ciclo di Eliseo (2Re 2; 3,4-8,15; 9,1-10; 13,14-21). La parola profetica è di per sé proclamata a voce, anche se è probabile che qualche capitolo di Geremia, molti di Ezechiele e forse qualche altra pagina profetica siano stati redatti per iscritto fin dall'origine. La stesura scritta della parola profetica è opera di “discepoli” del profeta stesso (si pensi all’intervento di Baruc nei confronti della profezia di Geremia: vedi Ger 36,1ss), i quali hanno compiuto talvolta un vero e proprio lavoro di “edizione”, come quello che ha portato a riunire nello stesso libro di Isaia i messaggi pronunciati da altri profeti in diversi contesti storici (i cc. 40-55 e i cc. 56-66 del libro). Tipica forma espressiva presente nei testi profetici è la cosiddetta “formula dell’inviato” («Così dice il Signore: …») che rivela la coscienza che il profeta ha della propria missione e della propria autorità.
Particolarmente frequenti nella letteratura profetica sono gli oracoli (di salvezza, soprattutto in Is 40-55; di giudizio, in particolare contro popoli stranieri: Is 13-23; Ger 46-51; Ez 25-32) e le narrazioni di visioni (Am 7,1-9; 8,1-3; 9,1-4), di azioni simboliche (Ger 13,1-11; 32,1-15) e di vocazione (Ger 1,4ss.; Ez 1,1ss).

La formazione letteraria dell’Antico Testamento nel corso della storia d’Israele

Il vero e proprio inizio di un’attività letteraria in Israele avviene al tempo della monarchia, particolarmente con il regno di Salomone. In epoca monarchica (X-VI sec. a.C.) si mettono per iscritto tradizioni storiche sulle origini d’Israele che entreranno poi a far parte della composizione del Pentateuco. Nel corso del VII secolo prende forma anche quella che è chiamata dagli studiosi moderni “opera storica deuteronomistica”. Durante l’epoca monarchica si assiste infine alla compilazione delle più antiche raccolte di proverbi (Pr 10,1-22,16 risale probabilmente al tempo di Salomone) e vengono redatti i Salmi più antichi. In questa fase si colloca l’attività profetica di Amos e Osea nel regno del Nord, di Isaia, Michea, Sofonia, Naum, Abacuc e Geremia nel regno del Sud.
Un momento cruciale della storia d’Israele è l’epoca dell’esilio babilonese (587-538 a.C.). La fine della monarchia, la conquista di Gerusalemme, la distruzione del tempio e la deportazione in terra straniera, costituiscono eventi catastrofici non solo sul piano militare, politico e sociale, ma anche teologico. Essi inducono a ripensare in altro modo l’azione di Dio nella storia e la sua alleanza con il popolo, come si constata nella redazione sacerdotale del Pentateuco, nella stesura finale dell’opera deuteronomistica e nelle profezie di Ezechiele e del Secondo-Isaia.
L’epoca persiana (538-333 a.C.) vede il formarsi del Pentateuco nella sua redazione finale, l’attività di profeti come il Terzo-Isaia, Aggeo, Zaccaria (Zc 1-8) e Malachia, la composizione di 1-2 Cronache e di Esdra-Neemia. È in questo periodo che viene redatto anche il libro di Giobbe e che sono stati composti diversi Salmi.
In epoca ellenistica (333-63 a.C.) sorgono testi sapienziali come Qoèlet, impegnato nel confronto con la cultura e la filosofia greca. A quest’epoca risalgono anche la redazione finale del Salterio e di alcuni libri “deuterocanonici” come 1-2 Maccabei, Tobia, Giuditta e Siracide. Alla metà del II secolo a.C. si colloca il libro apocalittico di Daniele.
In epoca romana (63 a.C.-135 d.C.) e alle soglie del NT va datato infine il libro della Sapienza, scritto in greco nell’ambiente di Alessandria d’Egitto e influenzato dalla filosofia ellenistica.