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Nelle nostre Bibbie un terzo blocco di libri va sotto il titolo di "libri sapienziali" e comprende Giobbe, Salmi, Proverbi, Qoèlet, Cantico dei Cantici, Sapienza e Siracide. In realtà due di essi, Salmi e Cantico, sono di genere e contenuto diversi rispetto agli altri cinque propriamente sapienziali. Per "sapienza" qui si intende sia l'elementare buon senso attento alle situazioni della vita e proteso alla sua buona riuscita, sia la ricerca del senso profondo della realtà, della ragione ultima che permette di cogliere e vivere le finalità più nobili dell'esistenza.   Il libro dei Proverbi è il più antico tra i testi della letteratura sapienziale. Contiene massime destinate alla formazione culturale e pratica degli scribi del re. Nello stesso tempo esprime la dottrina tradizionale sulla retribuzione: ogni azione ha la giusta sanzione, il bene fatto è remunerato con il premio e il male con il castigo.   Proprio questa dottrina viene messa in crisi nel libro di Giobbe. Giobbe è un giusto prima premiato e poi duramente provato. Nel dialogo con tre suoi amici, che rappresentano le ragioni della sapienza tradizionale, Giobbe sostiene che la sofferenza del giusto costituisce una profonda ingiustizia; i suoi amici al contrario lo considerano un peccatore giustamente punito. A Giobbe non resta che appellarsi a Dio, al quale chiede conto del suo comportamento razionalmente ingiustificabile. Dio interviene non per dare spiegazioni, ma per invitare Giobbe all'umiltà di fronte a un problema che supera la capacità di comprensione dell'uomo.   Sulla linea di Giobbe si pone anche il libro di Qoèlet, che evidenzia le molteplici contraddizioni dell'esistenza. La sua critica della sapienza tradizionale, giudicata troppo schematica e ottimista, è più radicale di quella di Giobbe. Pur senza risolvere i numerosi interrogativi che pone, il Qoèlet rimane un credente: da una parte invita ogni uomo a gioire degli aspetti positivi della vita che Dio dona, dall'altra ricorda a tutti che ogni azione sarà giudicata da Dio.   Il libro del Siracide prende nome dal suo autore, un ebreo di Gerusalemme chiamato Gesù figlio di Sirach, un maestro di sapienza. Il libro è una sintesi dell'insegnamento rivolto a un vasto pubblico, piuttosto agiato e colto. La sua sapienza risente molto della tradizione religiosa di Israele, ma è aperta agli stimoli della modernità. La sua preoccupazione maggiore riguarda le virtù fondamentali, la fede per esempio, ma anche l'elemosina. È un rappresentante qualificato dell'epoca giudaico-ellenistica, prima che le due correnti culturali entrassero in conflitto al tempo dei Seleucidi.   Ultimo di questa serie è il libro della Sapienza, scritto in greco da un autore che probabilmente viveva nella comunità giudaica di Alessandria d'Egitto nel I sec. a.C. La sua è la proposta di fede tradizionale fatta all'ebreo della diaspora e offerta al pagano ben disposto. È un testo importante per la dottrina sulla retribuzione del giusto dopo la morte (cf. Sap 1-5), per l'esaltazione dell'autentica sapienza che deriva da Dio (cf. Sap 6-9) e per la riflessione sull'opera della sapienza divina nella storia d'Israele (cf. Sap 10-19).   La Bibbia ha riservato il titolo di Cantico dei Cantici, cioè cantico per eccellenza, a una raccolta di testi poetici dedicati all'amore umano. Quest'ultimo è visto come un valore della creazione (cf. Gen 2,18-24) e pertanto esaltato. Del poema sono protagonisti due innamorati, che si cercano e si smarriscono, per poi ritrovarsi a cantare le gioie dell'amore monogamico. Nella tradizione giudaica e cristiana il Cantico è stato spesso commentato in senso allegorico, a significare le alterne vicende del rapporto religioso tra Dio e Israele o tra Cristo e la Chiesa, ma anche tra Cristo e il singolo cristiano.   Il libro dei Salmi è una raccolta dei cantici e delle preghiere che Israele ha elevato al suo Dio lungo tutta la sua storia. La tradizione vide in Davide l'iniziatore del genere innico in Israele. Ecco perché l'intera raccolta, pur avendo autori diversi, gli è attribuita. Luogo di nascita dei salmi è il culto, praticato prima nei diversi santuari sparsi nel paese e poi nel tempio di Gerusalemme. La raccolta esprime l'intera gamma dei sentimenti di un popolo verso il suo Dio. Vi si trovano: gli inni di lode a JHWH per le sue opere grandiose, la creazione e la salvezza (cf. Sal 8; 19; 29; 113-118; 136); i canti di ringraziamento sia del singolo sia della comunità per il pericolo scampato (cf. Sal 18; 30; 34...); le suppliche individuali (cf. Sal 3; 5; 6; 7; 22...) e collettive (cf. Sal 74; 80...) in caso di necessità; le confessioni dei peccati e le richieste di perdono (cf. Sal 32; 51...); le istruzioni di tipo sapienziale (cf. Sal l; 112; 127...); i canti del pellegrinaggio al tempio (cf. Sal 15; 24; 84; 95; 120-134); le celebrazioni della regalità di JHWH (cf. Sal 24; 47; 93; 96; 97; 98; 99...); le preghiere per il re (cf. Sal 2; 20; 21; 44; 72; 110...), rilette dopo l'esilio come appelli al regno del Messia futuro. Non mancano salmi che ripropongono la storia passata come riflessione sulla condotta divina e motivo a ulteriormente sperare (cf. Sal 78; 105; 106...).   Rispetto al testo originale ebraico, la numerazione dei Salmi nella traduzione greca chiamata dei LXX e nell'antica traduzione latina detta Vulgata è differente, in quanto queste ultime riuniscono in un solo salmo i Sal 9 e 10 e i Sal 114 e 115, mentre dividono in due parti il Sal 116 e il Sal 147. Da ciò deriva che la numerazione del testo greco e latino, che è quella adottata nella liturgia della Chiesa, è per larga parte del salterio diminuita di una unità in confronto all'ebraico